Dapprima ampiamente criticato, poi guardato con sospetto, apprezzato solo dai brand più avveduti e solo infine adottato da numerosi brand, l’influencer marketing è una di quelle forme di promozione aziendale che continua ad attirare attenzione (e sì a far discutere). I numeri però parlano chiaro: gli influencer possono portare valore alle marche che scelgono di collaborare con loro. Oggi te lo dimostreremo con quattro esempi.
Acclamati, odiati, invidiati, gli influencer sono tra i VIP più nominati del momento. Marketer come Chiara Ferragni, Mariano di Vaio, Taylor Mega e molti altri ancora sono vittime e carnefici di un meccanismo che ha infuocato i dibattiti, televisivi e non.
Ma, se mentre da un lato il Belpaese si indigna per l’apparente facilità di guadagno che spingerebbe molti a credere che essere influencer è semplice e immediato, altri continuano a domandarsi se convenga affidare le sorti del proprio brand a persone solo per il numero di follower che potenzialmente riescono a influenzare.
La risposta all’annosa domanda? Sì!
L’influencer marketing funziona
Pubblicato a inizio 2019, il report Lo stato dell’influencer marketing, di Talkwalker ha profilato uno scenario nuovo per i più reticenti: non solo il numero di aziende che intendeva collaborare con un content creator affermato era in crescita, ma, nel tempo, si sono anche modificati gli obiettivi.
Se in passato i brand si appoggiavano agli influencer solo per l’awareness, oggi riconoscono di potersi affidare a loro anche per altri goal come la lead-generation o l’aumento di conversioni (vendite on-site).
Stando allo stesso studio dell’azienda americana, infatti, se a febbraio 2019 era solo il 31,5% dei business ad aver previsto un piano di campagne di influencer, la curva già da allora era destinata a crescere.
A dimostrarlo il report successivo (di novembre dello stesso anno) pubblicato dall’Istituto Europeo del Design che testimoniava l’alto tasso di soddisfazione, pari al 67%, dei brand che hanno condotto campagne simili.
Solo il 33% infatti sarebbe insoddisfatto e tra i motivi di questo malcontento, si profilano una serie di motivazioni che, in realtà, possiamo ricondurre alla scelta dell’influencer sbagliato o a piccoli errori strategici.
Tra i più precisi, invece, quelli che nel 2019 hanno scelto le giuste persone per conseguire obiettivi sicuramente più smart:
- Reputation (59%);
- Education sul prodotto (31%);
- Notiziabilità iniziative legate ai valori del brand (28%);
- Subscription a servizi e app (14%).
Era auspicabile che succedesse. Col passare del tempo, difatti, abbiamo assistito a una modifica dei comportamenti tanto dei brand (molto più esigenti) che degli utenti, sempre più attenti al percepito: un contenuto poco autentico converte poco!
Insomma, ne è passata di acqua sotto i ponti da quando i primi influencer usavano la rete per posizionare i primi prodotti su Instagram (tra un post e l’altro) o su YouTube proponendo recensioni pilotate delle quali i follower comunque si fidavano.
Alle porte del 2020, gli utenti hanno imparato a proteggersi a tal punto da disdegnare qualsiasi tentativo di vendita palesemente nascosto. Un atteggiamento così radicato da aprire le porte dell’olimpo a una nuova categoria di influencer: i micro e i nano ovvero persone comunissime con un seguito limitato.
Già a inizio anno, Matteo Pogliani commentava a Talkwalker: “I micro-influencer rappresentano il volto dell’influencer marketing più vicino e affine agli utenti. Il loro essere così simili alle persone a cui si rivolgono li rende affidabili, familiari, ma soprattutto credibili”.
Una realtà di fatto questa che, come spiegato prima, eleva gli standard alla base di una collaborazione con un influencer, ma che non mette in dubbio i risultati di campagne simili.
A tal proposito, infatti, abbiamo cercato per te quattro storie, dei piccoli case-study in effetti, di influencer che ce l’hanno fatta. Quattro campagne che hanno posizionato prodotti o, addirittura, sono state in grado di dare vita a realtà aziendali di tutto successo.
Quattro esempi che hanno fatto storia nel mondo dell’influencer marketing
Quando è la gente comune a farti sbancare il botteghino: il Caso Daniel Wellington
Nato per un fortuito caso, e frutto dell’ispirazione di un passante, gli orologi Daniel Wellington devono la loro capillare diffusione al suo inventore. Filip Tsynder sapeva chi potesse indossare per primo il suo orologio così elegante e fresco: i millenial. Il designer però aveva anche ben chiaro che quella fetta di mercato trascorreva molto tempo sui social, ammirando la vita degli influencer, più o meno affermati. Di qui l’idea: regalare orologi a quei creativi che si sarebbero offerti di scattare foto che ritraevano anche il suo prodotto. Un effetto buzz che ha portato l’azienda a crescere vertiginosamente (dai soli 24.000 dollari di fatturato, Tsynder ha toccato quota 70 milioni nel biennio tra il 2013 e il 2015).
Se la TV accende i riflettori, tu sfruttali. Giulia De Lellis insegna
Approdata sugli schermi di Canale 5, nel programma di Maria De Filippi “Uomini e Donne”, alla ricerca del vero amore, la giovane ha subito riscosso successo tra le sue coetanee per il suo carattere e la sua grinta. Aspetti che le hanno permesso di emergere in un contesto pieno di prime donne. Poco è passato, perciò, prima che la De Lellis capisse di poter sfruttare questo feeling, tra lei e il pubblico, per cominciare a posizionare i capi di abbigliamento prodotti a mano da sua madre e sua zia. Il risultato? Sol Wear Woman, che è passata dall’essere un piccolo marchio a diventare una realtà affermata, con diverse linee di prodotti all’attivo.
Dai tutorial alla produzione, Clio Makeup imprenditrice
Beauty-routine, skin-care e tutorial. Erano questi i tre cavalli di battaglia di Clio Makeup, make-up artist italiana che ha insegnato alle utenti italiane una serie di escamotage e dritte per il trucco perfetto. Oltre ad entrare nel cuore delle sue amatissime follower, così, Clio è riuscita a raggiungere anche i loro beauty-case. Oggi la giovane truccatrice bellunese è una truccatrice affermata, una blogger, e un’imprenditrice a capo di un business internazionale che continua a far crescere la sua community di affezionate e di clienti. Perché sì, la Zammatteo produce e vende anche la sua linea di cosmetici.
Diario di Virgola: dalla ricerca del lavoro al business grazie ai social e alla creatività
Virginia Di Giorgio cercava solo un lavoro. E, mentre lo faceva, disegnava, scarabocchiava. È nata così Virgola, il suo personaggio. Un fumetto, se così possiamo definirlo, che soli 40 giorni dopo essere finito su Instagram ha aperto le porte della carriera della giovane artista. In poco tempo, la simpaticissima Virginia è passata dall’essere una disoccupata a rivestire il ruolo di blogger, disegnatrice e ambassador (collaborando addirittura con Samsung), oltre che produttrice di una sua linea di prodotti di cancelleria personalizzati.
Insomma: quando la creatività si mischia alla competenza il risultato è assicurato. Tanto per il brand quanto per gli influencer. Scegliere quello più giusto è la parte più complicata. Proprio per questo perciò esistono una serie di piattaforme che ti consentono di entrare in contatto con il promoter, o i promoter, che fanno per te. AQER è una di queste.
Non si tratta solo di una directory, un database. Bensì è un vero e proprio punto di incontro, in cui conoscere gli influencer, accordarsi sugli obiettivi della campagna e tracciare le KPI, grazie alla tecnologia blockchain, così da evitare investimenti a ROI ridotto o incappare in fraintendimenti spiacevoli.
Stai valutando l’ipotesi di coinvolgere un influencer per la tua prossima campagna? Non puoi fare a meno del nostro kit di sopravvivenza. Una gamma di utili template a cui non potrai rinunciare per definire S.M.A.R.T. goal e molto altro ancora!